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Infinito presente



Da tempo e con autorevolezza di voci e di indagini, l'attenzione della critica ha collocato la poesia di Maura Del Serra in posizione originale rispetto alla considdetta "linea orfica" nocentesca (Donato Valli), "con la profonda diversità di una ricerca che si nutre di una straordinaria ricchezza di forme simboliche", fino a brillare di "una solitaria luce di grandezza" (Giorgio Bàrberi Squarotti): già Mario Luzi ne sottolineava fin dagli esordi l'appartenenza al "filone profondo che attraversa la cultura e l'arte europea al di là dei confini linguistici e temporali", mentre Roberto Carifi notava "come i grumi di catastrofe e di negatività per forza presenti in un'autentica coscienza cristiana vi si distendano in gioia stellare". Una poesia pensante, dunque, di ascendenza hölderliniana, tesa alla coincidenza sacrale di poesia e verità, invenzione e rivelazione, illimitante e forma, come sottolinea ora Claudio Varese.

Tali caratteri vibrano e spiccano con persuasa e multiforme maturità in questa raccolta, a partire dal titolo-emblema, in cui l'accento può cadere tanto sul sostantivo quanto sull'aggettivo: un presente infinito e/o un infinito quotidiano, che comprende sia le vicende della "storia maggiore", con le sue recenti eclatanti vicissitudini, sia quelle della storia "altra", silenziosa e apparentemente minima degli oggetti, delle stagioni, degli animali, delle presenze interiori: sostanze costitutive di quel mondo che la psicologia analitica definiva la mente naturale, e che la Del Serra sente come mythos attivo, radicante e fondante il viaggio, davvero sempre infinito e sempre presente, della coscienza (ormai tesa, al volgere del millennio, alla ricerca travagliata della sua "casa comune"): coscienza di cui il poeta può dirsi testimone critico, ma anche traduttore e drammaturgo (tre termini che definiscono non a caso, anche gli altri versanti dell'esperienza creativa della Del Serra).

Nelle cinque sezioni di questo volume la dialettica fra personale e impersonale, passione e ragione, natura e cultura, già dispiegatasi nei "lucenti emblemi" (Luzi) delle raccolte precedenti, è orchestrata - anche nell'espressività, che spazia dal sublime-meditativo al colloquiale e all'ironico-cantabile - in una scansione vasta e fervidamente partecipe del farsi dell'esserci umano, restituito in energia poematica e armonizzato in riflessione contemplante.


Dal risvolto di copertina




Dal saggio introduttivo a Infinito presente, Firenze, Giuntina, 1992

Maura Del Serra è poeta, ma è un critico-interprete di poeti, traduttrice dall'inglese, dal francese, dal tedesco come dallo spagnolo, e ora drammaturga che affronta temi ed epoche diverse. Dovrebbe chi vuol conoscere questa così mobile e ricca personalità guardare uno specchio unico e unificante, dove quattro specchi trascolorano l'uno nell'altro, o ricostruire quattro rispecchiamenti di una stessa persona? [...] Così aperta al fascino dei temi come temi poetici e delle analogie fra gli scrittori, la studiosa non dimentica la realtà espressiva e tecnica della pagina, né come e quanto la poesia si attui nel linguaggio, nella metrica, nelle forme sintattiche e metaforiche. Le sue analisi si congiungono funzionalmente a tutto il discorso critico al quale portano dei precisi sostegni ermeneutici. [...] Il cammino poetico della Del Serra non solo si svolge verso il segno di una sempre maggiore complessità, ma insieme di una dominante e sviluppata consapevolezza di questa complessità. [...] La continuità delle scelte tematico-stilistiche si attua nella varietà e nella ricchezza di sempre nuove prospettive, di sempre nuovi spazi che accolgono, con diversa misura e con diversi echi, i motivi delle precedenti partenze e dei precedenti arrivi letterari. [...] La poesia per il poeta, e dunque per il lettore, è, come avverte Ricoeur, una realtà presente, una 'réalité présentielle': nella Del Serra questa dimensione non è dimenticata e fa parte della consapevolezza della pagina, si attua nel problema e nella soluzione dell'infinito, che scende e si dispone con rinnovata e attiva urgenza nel presente dell'umano e nel rapporto tra presente e infinito, che cerca e trova continuità nelle parole e nei versi. [...]

La Del Serra nella sua attività di critico e di storico della letteratura non può certo aver ignorato i richiami e i quadri della storia; tuttavia l'impostazione e le tensioni del suo fare poetico si volgono verso la storia soltanto per superarla e garantire uno spazio libero ai momenti della vita, della persona, dell'umano in se stesso. [...] Una particolarissima, scandita e mossa autobiografia si propone come poetizzante, lontano da ogni incontro di cronaca empirica. [...] La sintassi, l'interpunzione, la metrica, le pause e le intonazioni, le differenze e la continuità sono strumenti e momenti di quel rapporto tra il limite e le forme, nel quale si esprime e si crea il valore lirico e originale di questa nuova poesia pensante.


CLAUDIO VARESE



Da non pochi anni Maura Del Serra deve essere considerata una delle voci poetiche più interessanti del nostro più giovane panorama. Al lavoro almeno da una quindicina di anni, la Del Serra si è anche distinta come autrice di teatro, traduttrice, e per i suoi saggi critici. é una poesia originale, di ricerca e di approfondimento morale e religioso, che fa ricorso ad una straordinaria ricchezza di simboli e di analogie: naturalmente si potrebbero indicare collegamenti con la grande poesia europea ed anche con quella italiana. Nell'ultima raccolta, Infinito presente, la Del Serra non solo affronta i temi fondamentali della vita morale e civile degli uomini, ma studia la storia silenziosa delle stagioni e degli animali, delle presenze interiori. [...] Via via che si rivede la situazione del panorama di una nuova poesia italiana, sempre di più stupisce che certe voci importanti e forse decisive per i momenti che si vivono siano prese molto di rado in considerazione dalle grandi collane delle maggiori case editrici.


LEONE PICCIONI

"Il Tempo", 2 settembre 1992




La luce e l'ombra

"I titoli di una raccolta di poesie possono essere un tema o un problema" - scrive Claudio Varese nel saggio che introduce l'ultima meritoria fatica di Maura Del Serra, Infinito presente. La coppia ossimorica aggettivo-sostantivo che sta in testa al volume si presta a una biunivoca (sostanzialmente convergente) interpretazione che fa della poesia il luogo di continue trasfigurazioni. Il presente, volto incarnato dell'essere, ha radici profonde (infinite) e l'infinito accetta subisce patisce la stretta angusta e necessaria delle cose in una perenne metamorfosi.

La poesia, afferma ancora il Varese, appoggiandosi al Ricoeur, è sempre per il poeta e per il lettore "realtà presente" ("realité présentielle"); ma nella diacronia contemplante della mente il presente supera i suoi confini per aprirsi al varco illimitato che lo precede e lo trascende. Il "tempo placato in spazio" e lo "spazio acceso in coscienza" (Congedo del Maestro dai discepoli): questo l'itinerario lirico e conoscitivo che rende ragione dell'operazione poetica della Del Serra. Il mistero buio e affascinante dell'esistenza colto nelle forme del quotidiano accadere e le situazioni presenti percepite nella loro riposta essenza, secondo una circolarità significante che travalica il segno per risalire alla totalità assoluta: "L'oscura origine di ciò che è chiaro / naviga nella mente verso il porto / della sua forma: oltrepassa la sfera / chiusa dai corpi e l'angoscia dell'altro / da sé, sorpassa il vortice vibrante / di colori dell'anima, la sua sete di sogni, / appena sosta nel lucido cerchio / dell'intelletto, ruotante sul perno / delle sue antitesi orgogliose, colmo / di deserti e giardini sigillati, / e giunge all'etere: al suo fresco fuoco / di conoscenza simultanea vede / la chiara origine di ciò che è oscuro: / vi si fonde, e dell'Unico è l'erede" (Reintegrazione).

"Poesia pensante" dunque, nutrita della migliore tradizione (Hölderlin, Novalis, Rilke, Eliot), che varca la soglia fra il limite e l'oltre in una sintassi ampia e dialogante - quasi 'confessione' alla presenza non solo del lettore, suggerita da echi agostiniani (Sero te amavi) - fatta voce e consapevolezza dell'umana vicenda. Il tessuto compositivo ha la preziosa levità di una filigrana intravista sotto la scorza del divenire e la cristallina trasparenza di attimi sorpresi in luminose apparizioni e disvelamenti. Trasfigurazioni, appunto. Come nell'episodio evangelico, ben presente alla fantasia creativa dell'autrice che lo trasforma in logo simbolico dell'intera raccolta ("Sulla croce del tempo, in ogni punto tramata / dai curvi rampicanti della gioia, / sta la vita distesa, con il capo / sulla guancia del cielo e i piedi uniti / alle radici della terra: gioca / e ride e piange, mentre il sole muta / il suo pallido sangue in vino ardente / e il suo cuore di carne / in pulsare di stella trasparente"): la trafigurazione è epifania di luce. Lo stesso chiarore taborico, messaggero di Verità, promana dai versi diafani e albescenti dell'Infinito presente. Ma la poesia della Del Serra è poesia di luce e ombre, di luce colta nei riflessi dell'ombra, nella traccia terrestre lasciata dalla pesante sagoma della vita o nei bagliori che si staccano, come da specchi, dalla porosità palpitante degli oggetti: "Solo la luce può creare l'ombra / [...] ma solo l'ombra può / viaggiare verso il colore e le forme" (Elogio dell'ombra in luce).

Talora, chi si prenda troppa confidenza con l'Assoluto corre il rischio di un'ascetica scarnificazione e di un dolente (luttuoso) contemptus mundi. Non così per la Del Serra, il cui sguardo abbraccia con simpatia l'intero spettacolo dell'esistenza fino all'esultanza per la sua umbratile corposità: "felicità del limite che tieni / l'anima smisurata chiusa nei santi affetti" (Sero te amavi). L'Eterno ha bisogno del Tempo, la Divinità suprema del Demiurgo "maldestro" e ingannatore; e il respiro metafisico, che pure alita dalla pagina, sgorga dal cuore stesso delle cose divenute intermittenze e ricettacoli dell'Essere: "Dentro la vita eterna delle piccole cose, / l'indistruttibile bisbiglia / [...] minimi pulsar del divino esploso / in memoria d'umano" (Gli oggetti).

Per questo la vita è amata e la poesia è la più alta "forma dell'amore nel suo eterno viaggio / dal molteplice all'uno" (Sedes sapientiae), sottile decifrazione della trama della realtà rivelatrice di senso. E della molteplicità della vita, del vario manifestarsi del mondo degli uomini, nulla sfugge all'occhio curioso e affascinato della Del Serra, stupito davanti al pullulare dell'universo materiale e vegetale (Imitazione della pietra, Imitazione dell'albero) oppure fisso ai fatti gioiosi o dolorosi, ma sempre rischiarati dalla speranza, della storia personale (l'io autobiografico che si affaccia in mezzo alla cronaca trasfiguarata dell'esistenza) e collettiva (la repressione di piazza Tienanmen in Ai giovani cinesi, il crollo del muro di Berlino e la caduta dei regimi totalitari dell'Est in Congedo dall'89). Simulacri tutti del presente infinito, toccati dalla "luce sul limite dell'ombra" (Sero te amavi). Ed è questo riverbero di terra che ce li rende cari.


PATRIZIA GIROLAMI

"Michelangelo", n.s., XXII, 1

gennaio-marzo 1993, p. 63



Saggista, autrice teatrale e traduttrice affermata (ricordiamo tra i suoi studi quelli su Pascoli, Ungaretti, Campana e Rebora e tra le versioni quelle di Shakespeare e Proust) Maura Del Serra ha da poco pubblicato il suo quinto libro di poesie, Infinito presente. é una raccolta che ha come tema fondamentale il bisogno di armonia dell'uomo, e la sua ricerca di identità e di serenità che si confronta profondamente con un assunto religioso; una verità semplice e possente nella sua pura spiritualità (croce è uno dei vocaboli chiave della prima parte del libro, a cui si accompagnano frequenti richiami biblici). [...] La dimensione temporale "fra realtà e illusione" si esplica felicemente nella rara geometria dei cicli naturali e delle generazioni, prima e oltre l'opera umana. [...] Il presente del Sé è quindi dilatato in ogni suo attimo di tensione alla vita; grembo e madre sono altre parole chiave. Vita che si forma in una ricerca costante di riappropriarsi del tempo, di un presente che dia frutto (tornano alla mente le parole dei Quattro quartetti di T.S. Eliot: "E tutto è sempre ora"). Questa pienezza vissuta, partecipata, "tramata / dai curvi rampicanti della gioia" non si pone tuttavia al di fuori della dialettica del tempo della società, bensì confronta con lucidità le disarmonie e i drammi individuali e storici: dalle costrizioni inerenti all'essere donna, all'irrisolto, patetico problema del poeta immerso in una società grottesca e ignara, che proprio nella sua diversità trova motivo di orgoglio e sentore di una sottile ma viva trasparenza del logos. [...] La Storia non sfugge, nella quotidianità ma anche nei suoi eventi maggiori, allo sguardo dei poeta; non a caso la Del Serra sottolinea alcuni avvenimenti dell''89 [...]. La raccolta presenta soluzioni musicali, metriche e ritmiche assai notevoli e varie, con frequenti usi di enjambements e a volte di rime baciate, in una diversità di intonazione che accresce la ricchezza dell'opera, a testimonianza di una ragguardevole sapienza compositiva. Infinito presente conferma dunque Maura Del Serra come una delle più interessanti poetesse italiane dell'ultimo ventennio e, possiamo aggiungere, come una delle voci più compiute della poesia religiosa italiana d'oggi.


ENRICO GRANDESSO

"Avvenire", 20 febbraio 1993




L'"Infinito presente" di Maura Del Serra

1. L'esperienza poetica di Maura Del Serra ci appare come un canzoniere sintonizzato, sin dalle prime prove, sulla lunghezza d'onda della poesia orfica del nostro secolo.

Agisce nella poesia della Del Serra la suggestione di tutta quella tendenza spiritualistica di tradizione vociana (Campana, Onofri, Rebora, Jahier, Michelstaedter, Boine) le cui propaggini ritroviamo, in qualche misura, nell'opera di Ungaretti, Betocchi, Fallacara, Luzi. A ciò va aggiunto il patrimonio culturale che le deriva dall'ampio ed intenso lavoro di traduzione dal francese, tedesco, inglese, spagnolo (e quindi il debito contratto con autori come Goethe, Hölderlin, Rilke, Trakl, Rimbaud, Claudel, Shakaspeare, Thompson, Hopkins, Inés de la Cruz) che le ha consentito di scoprire il divino nella libertà della propria coscienza, facendo tacere in qualche modo ogni richiamo banalmente esterno per esaltare la parola annidata nelle profondità dell'anima. Ciò ne fa, al di là d'ogni possibile fruizione placata e sicura, una personalità estremamente mobile, di natura metamorfica, ma nello stesso tempo legata ad una sostanza ideologica non provvisoria, alla quale si mantiene costantemente fedele, determinata com'è a seguire la strada maestra dell'autenticità e della persuasione.

Quello della Del Serra è una sorta di linguaggio-costruzione e come tale aperto ad ogni accesso cogitativo, nella convinzione che la poesia è pensiero che si attua per mezzo di immagini: insomma, un determinato modo di pensare e di conoscere.

È questa una convinzione sulla quale la Del Serra ha costruito un organico progetto di teorizzazione e realizzazione della poesia che investe tutta la sua esperienza da, L'arco, 1978, a La gloria oscura, 1983, da Concordanze, 1985, a Meridiana, 1987, al recente Infinito presente, 1992: un progetto esplicitato sia in scritti teorici sulla poesia che in scritti interpretativi su autori e temi del Novecento.

2. In questo ambito metodologico la sua esperienza poetica si presenta come un ottimistico tentativo di opporre alla brutale presunzione dei dati analitici della scienza moderna la via dell'unità e della sintesi, riallacciandosi all'ardimento intellettuale di Novalis e Rimbaud, nei quali la parola-testimone riacquista una dignità antica salvando tuttavia il diritto integrale dello spirito poetico e azzerando quanto di corrosivo e di dissolutivo residui nell'esperienza decadente.

Nella poesia della Del Serra la voce è consegnata ad un dettato che lascia trasparire una solennità che rifugge da ogni esibizione, ad un'affabulazione che si muove tra cadenze auliche e silenzi innalzanti ed allusivi, prestata di volta in volta, nella filologia onnicomprensiva del suo sistema stilistico, a personaggi mitici e reali, concretissimi e figurali. Ne vien fuori un ritratto interiore nitido e coerente, un paesaggio ricostruito sulla scorta di un programma di ricordi, tenuto insieme da un filo organico del pensiero strenuamente impegnato nella ricerca d'una verità del cuore e della mente che è oltre ogni speculazione, in un mondo poetico compiuto in cui la confessione fluente e il palpito dell'anima individuale tessono la trama di un autentico discorso di poesia, disciplinato da un costante controllo del dato emotivo.

3. Nelle prove più recenti la Del Serra, maggiormente disposta ad una verticalizzazione strofica nei moduli perfino della canzonetta chiabreriana, attenua la dizione oratoria e classicistica delle opere precedenti ed il viaggio, entro il dramma privato e storico, si attua con maggiore rilevanza, nella direzione della trasformazione e della complicazione di ambito conoscitivo. Non che la ricerca di forme retoriche e solenni si interrompa: tende soprattutto a specializzarsi e a indirizzarsi verso prospettive di maggiore assolutezza, entro lo spazio, sempre attuale, del sentimento metamorfico della vita, della passione primordiale ed essenziale dell'uomo per l'esistenza ed i suoi destini, per la congerie degli oggetti e degli eventi che caratterizzano "l'infinito quotidiano".

Anche il discorso poetico, in questo nuovo quadro stilistico, tende a farsi, in una certa misura, sempre più asseverativo e capzioso, rigoglioso pur nella sua tentata brevità e verticalità. Il sentimento, il pensiero, la vita, la morte, le grandi astrazioni, sono tutti personaggi d'una vicenda che si svolge entro un hortus conclusus dove domina l'artifex con i suoi strumenti tecnici, la sua parola sublimata e sublimante, l'estrema saldezza della dizione, la costanza di livello retorico, di intenzioni, di costruzione, sorvegliatissima sempre fino alla perfezione dell'immagine sonora e splendente; e ciò non fa che confermare il carattere tutto individuale della scelta poetica della Del Serra, della forma interna della sua poesia e quindi d'ogni parte ed elemento dello stile, ponendola, rispetto alle soluzioni chiassosamente sperimentali ed oltranzistiche di certa poesia contemporanea, come coscienza di sé.

La riflessività dell'io, la mobilità degli scenari e della testualità, trovano esatte corrispondenze. Sonorità, allocuzioni, ossimori, iterazioni e ritorni, consonanze e dissonanze, contrasti ed affinità di toni, varietà dei metri e della versificazione sorreggono una teatralizzazione dell'esistenza che dissemina gli umori della soggettività, e della interiorità, nell'oggettività dello spazio, delle presenze e degli eventi; i personaggi, gli oggetti, gli accadimenti naturali formano nella poesia della Del Serra un corpus unitario in cui l'io si riflette e col quale si confronta e dialoga. Questo continuo riportarsi dell'io e delle cose, del soggettivo e dell'oggettivo, della parte e del tutto, conferisce alla sua poesia una notevole valenza drammaturgica, confermata, del resto, con spiccata autonomia creativa, da opere come La Minima, L'albero delle parole, La fonte ardente, La Fenice.

Si tratta d'un approdo che compendia, come avviene nel versante della creazione poetica, dottrina ed accumulazione verbale, ordinato progetto costruttivo e consapevole ambizione di sintesi di linguaggi artistici e storici entro un tentativo di mobilitazione della parola e di uno stile da intendersi come riassunto di tutti i segni della letteratura e della cultura: e con al fondo una ideologia che investe sia il piano dell'ossessione espressionistica che quello del colloquio d'amore, in un discorso religioso che ripete con insistenza le formule più splendide della tradizione mistica: un discorso che offre eccezionali esiti in certe folgoranti opposizioni, dell'esistenza libera della natura alla finitezza del corpo legato alla sofferenza e alla deiezione, della tensione spirituale alla povertà ed alla limitatezza degli orizzonti quotidiani: un discorso che è insieme confessione, grido della coscienza e pensiero da seguire e da interpretare.


PIETRO CIVITAREALE

"Oggi e Domani", 10 ottobre 1993

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