Come Ulisse vive oltre la morte
"Di Maura Del Serra, poetessa e studiosa, si sa quel tanto che basta a distinguerla per rigore e assolutezza di postulati". Così scriveva, da estimatore autorevole, Mario Luzi a proposito di un testo teatrale della Del Serra, La fonte ardente, scritto nel '90 come agiografia appassionata e partecipe di Simone Weil, situata nel clima fervido della cultura francese del Novecento. E aggiungeva che nel cercare incontri e confronti con figure conquistate dagli assoluti - nei suoi studi critici, Jacopone e Vico, Juana Inès de la Cruz e Borges, Claudel e Ungaretti, Neruda e Pasolini; e nel suo teatro: la beata Margherita Caiani che precorse Madre Teresa di Calcutta nella reinvenzione della pietà (La Minima, 1989), Don Milani e il suo apostolato pedagogico e religioso (L'albero delle parole, 1990), il monaco pittore Rubliòv che umanizzò il sacro nella Russia del XV secolo (Andrei Rubliòv, finalista al Riccione nel 1991), l'idolatrato dieu de la dance della Belle Époque Vaslav Nijinskij precipitato nel baratro della schizofrenia (Lo Spettro della Rosa, premiato per il Teatro Totale); altri testi ancora su uomini e donne di lampeggianti passioni - "l'intellettuale sempre accompagna il movimento verso l'ascesa spirituale, ripercorrendo esperienze capitali: fino a quando non trasale intuitivamente, appassionatamente a tutt'altro regime...". Quello, aggiungerei, dell'intelligenza del cuore: quando l'impianto intellettivo della ricerca si libera nella partecipazione poetica, s'allarga dall'agiografia celebrativa fino ad una empatica, fidente immedesimazione. La poetessa di La gloria oscura e Infinito presente assume e trasfigura allora il dettato teatrale, dà ritmi espositivi e respiro stilistico alla forma facendone veicolo di comunicazione emozionale e - come per la Yourcenar, volendo un po' sbrigativamente esemplificare - si fa mediatrice del passato nel presente del nostro sentire.
Drammaturgia singolare, preziosa: dove ragione e sentimento alla fine s'incontrano, illuminandosi reciprocamente sulla scena - oggi ahinoi negletta - del teatro di poesia. E dove - con progressiva conquista dei mezzi tecnici - nel crogiuolo della visione poetica, la scrittura scenica è un confluire della parola e della musica, della pittura e dei corpi verso l'unicum di un "teatro multicodice": nuovo probabile approdo - ritengo - dello specifico teatrale in questa nostra epoca di ridefinizione dei modi di fare cultura e arte.
Le osservazioni anticipate da Luzi, tanto più aderenti in quanto poeta che pratica egli stesso il teatro in versi, sono da prendersi in toto anche per il poema scenico Isole, scritto nel corso dell'anno 2000 e insignito nel 2004 del premio europeo "Rosso di San Secondo".
In questo testo di asciutta, rigorosa scansione e di sorvegliata sapienza poetica l'autrice attinge alle fonti omeriche del mito proponendoci una investigazione, soltanto in apparenza scontata, intorno alla figura dell'Odisseo: non più nel suo errare dopo la distruzione di Troia e nel suo avventuroso, tribolato ritorno a Itaca, ma dopo il suo trapasso nell'Ade. Sono ibernate in una bara di plexiglass come un metafisico simulacro le sue spoglie, ma risulta vivo attraverso la "congiura dei sentimenti" delle donne che in modi diversi lo hanno amato: Anticlea, la madre incontrata negli Inferi quand'egli cercava Tiresia; Circe, la maga che nella sua isola tiene in potere gli uomini con filtri d'amore; Penelope, la sposa fedele ai ricordi che tesse e disfa la tela dell'attesa, e Nausicaa, la figlia del re dei Feaci cui Pallade ha ispirato una virginale passione per il forestiero.
E così (come non pensare ancora alla Yourcenar, alla sua arte di fare vibrare l'antico attraverso la sensibilità contemporanea?), in una cornice coreografica di classica compostezza, ridisegnata con stilemi moderni, senza orpelli archeo-naturalistici, sottesa ai suoni di singoli strumenti che convengono alle memorie e alle passioni delle quattro donne (in fusione con le strofe delle loro rimembranze sentimentali intorno all'amato simulacro: esempio di rinnovata alleanza fra parola recitata e musica che ha avuto il consenso della giuria del "Rosso di San Secondo") il mito dell'"uom di multiforme ingegno", e di prometeica vitalità, si specchia in una vicenda capovolta dall'imperio amoroso del mondo femminile sull'uomo, che sopravvive al tempo mortale. L'orgoglio materno di Anticlea, sull'onda del contrabbasso che s'addice alle ombre: "Fu (il figlio) il maestro / che fa sognare agli altri il proprio sogno". Nausicaa, al suono delle corde di un salterio, rivedendolo dopo il naufragio sull'isola paterna: "La mia età prima si specchiava in lui / come un giovane albero d'oro nell'acqua ferma / di un lago oscuro... E in segreto io mi promisi / a lui solo...". Circe, evocando il suo innamoramento sull'aria di un flauto: "...Il tuo segreto sarà la mia estate, / dove tu eternamente sarai vivo, salvato / da vecchiaia e da morte... / Io ti sarò memoria e oblio / come solo può essere un'amante". E Penelope, ricordando con le vibrazioni di un violoncello che sempre le era toccato di contenderlo alla sua "nera nave, la sua vera donna": "La fedeltà mi murava in un'ansia / antica, come lui nelle sue mitiche infedeltà... / Mai donna più vicina ebbe uomo più lontano". "...Farsi stella vivente è in potere / dell'anima, la grande principessa e signora / schiava di sé, dei suoi sogni mortali: / svegliatevi, svegliatela, liberatela in voi / come la notte libera l'aurora", recita sul finire del poema una Voce Femminile ch'è il metronomo che regola la quadriglia dei sentimenti delle donne dell'Odisseo che incarnano quattro età della vita e le quattro stagioni dell'anno. Non l'"amore dell'amore" di cui ha parlato Denis De Rougemont: molto di più, è Ulisse che sopravvive oltre la morte perché l'inestimabile privilegio femminile di dare la vita lo conserva nella cripta luminosa dei sentimenti e dei ricordi anche dopo che il suo corpo - finita la disputa "mortale" per appropriarsene, che Maura Del Serra attualizza, sull'onda sonora degli strumenti, tra sventagliate di luci stroboscopiche e musiche da discoteca - va a riposare per sempre nella bara. Ed è - miracolo della passione amorosa, punto estremo di luce di questo testo bellissimo - l'altra nascita di Ulisse, oltre il buio dell'Ade. Anticlea, la madre: "Il mio grembo s'è aperto di nuovo; nella notte / ho ridato alla vita mio figlio, e l'ho affidato / alle acque del tempo. Ora lui, è vero, è lontano, / ma tra le braccia io stringo il suo fato".
Ugo Ronfani, [Prefazione]
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