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  • Maura del Serra

L'età che non dà ombra




Quest'ultima raccolta poetica di Maura Del Serra si porge al lettore come un lungo respiro ascendente, nitidamente ritmato in dieci sezioni organiche, che disegnano un percorso tematico-musicale riconoscibilmente spiralico: dalle armoniche corali e civili di apertura, agli affondi nelle ombre e luci della propria recente storia personale e creativa, tesi ad una catarsi spesso drammatica o ad un inscindibile gioioso fervore, che li riconduce all'esemplarità di una norma interiore e cosmica: e questa si fa compiutamente, ciclicamente operante nelle ultime sezioni - tramate da nuovi e più visibili nodi di significati universali - attraverso un coro proiettivo di voci e di personae, che nasce dall'intensa interazione con le parallele attività di drammaturga e di traduttrice della Del Serra.

Un percorso simbolico e stilistico limpido e insieme complesso, sempre amorosamente implicato e fondante in senso conoscitivo (e perciò mai dimissionario né consolatorio) che vuol essere soprattutto un'attiva mimesi creaturale della condizione umana, lacerata da vaste antinomie storiche ed istintuali e ricomposta dal materno "segno trasparente" di profonde compresenze. E la mimesi è condotta con una varietà persuasiva ed ormai matura (giusta il titolo, che allude alla stagione centrale della vita) di accenti e di toni, dal melos meditativo allo "scherzo" mozartiano, fino alle molteplici armoniche dello gnomico, di volta in volta ironiche, epigrammatiche, liriche e sapienziali.


Dalla quarta di copertina




L'"Ombra in luce" nella poesia di Maura Del Serra, da L'età che non dà ombra, Firenze, Le Lettere, 1997

Già nella sua seconda raccolta, La gloria oscura, quasi all'inizio di quel percorso di coincidentia oppositorum, di ricostruzione in umbra lucis che contrassegna un ventennio di poesia, Maura Del Serra aveva avviato per via negationis il disegno dell'opera al nero. [...] in un drammatico e gioioso 'corale' di colori (nero, bianco, rosso) riassuntivi dei quattro elementi (terra, acqua, aria, fuoco) da sempre costitutivi di ogni poesia orfico-sapienziale. [...]

L'"oscillante girotondo" dei contrari, esemplati sul bianco e sul nero, sul giorno e sulla notte, non a caso nel terzo libro, Concordanze, aveva cercato la figura della meridiana, arcaico e perenne strumento di misurazione di un tempo che non si fa senza luce ma che può dirsi solo grazie all'ombra; declinazione di una materia incerta tra la "luna nera", "rovescio della luce" (dolorante simbolo della madre-terra, e forse non solo di quella), e il "padre sole", che può fissare nell'immobilità unicamente con l'assialità perfetta, nel segno dello zenith. Essendo implicito forse che la perfezione umana sarebbe (diversamente da quella divina, che è tutta luce) nella possibilità/capacità di conciliare gli opposti, di sublimare il desiderio dell'assoluto (quello di cui da sempre si sono fatti interpreti i grandi mistici) in una pacatezza innocente, quasi sicura del possesso futuro. A detenerla, nella finzione poetica sarà Kore/Irene. [...] Sarà grazie a Irene (al principio di cui è forma e sostanza; e sarà col suo apparire lo schiudersi, soprattutto ne L'età che non dà ombra, del mistero familiare, e della sua segreta pietas) se la materia prima si riscatta in seconda, se la vita al minimo (dannazione femminile) trova l'altra 'via', ove 'apparenza' rima con 'essenza'. Capovolte insomma le radici in un nuovo segno di profezia, che inclina al presente riconducendovi il futuro.

Così Infinito presente, dopo tentate concordanze, ipotizzava un trittico con le leggi dell'erba, della pietra, dell'onda, e una serie di "imitazioni" (pietra, albero, animale, angelo), in un'ipotesi di abbandono all'elementare, dimesso il "cancro antico della ragione". [...]

Si arriva in tal modo, credo, con queste significative oscillazioni che in densità, quasi rarefazione del dettato, mimano l'urgenza della totalità (il luogo dove ogni cosa è vera, ed il suo contrario), a L'età che non dà ombra; a un mezzogiorno diverso da quello che la prima raccolta aveva temuto. [...]

Ora il linguaggio si finge dimesso (ma è solo apparenza, giacché riparte poi altissimo, quasi irraggiungibile), rivela più di sempre le fonti possibili (la "conoscenza per ardore, o il buio" del Luzi più intenso, o il dialogare di quello intermedio, nato con Nel magma; la "solitudine di stella", il creaturismo, la terra promessa ungarettiane; il vocativo alla vita del Montale degli Ossi; il disincanto, le armoniche, le litanie di Caproni, per limitarsi a un intertesto novecentesco e italico), ma per nascondere forse una tensione che non era mai stata così acuta sul significante. Tutto giocato, a livello filosofico-concettuale, sull'irrilevanza e l'unicità del segno, tra suono e senso, tra esistenza e vita. Più forte di sempre forse l'hinc et nunc, il "cuore di carne" nel "cuore di pietra", ma nella ricerca del "vero presente" contro il "vacuo presente", permanendo sempre la voglia di decifrare la "fine incisa e sigillata", di sciogliersi nel tutto, ma non solo per "ardore", bensì anche per acquisto di "paziente innocenza". Labirinto, istinto, ansia, contro verità, leggerezza, certezza, nella coscienza che potrebbe esserci miracolo anche nei Giorni nostri, se solo riuscissimo a liberarli dal 'falsettone' dell'uomo massa, a leggerli, in spirito di vero servizio, di umana, risentita risurrezione, oltre "la carne/ effimera e discorde", oltre la combustione omologante della "lingua comune".

Se L'età che non dà ombra è quella, come suggerisce la Del Serra in uno dei suoi Aforismi, "in cui il corpo diventa trasparente agli occhi altrui, e l'anima, con deluso sollievo, riconosce sugli alberi il sapore dei frutti. Le lacrime dei sensi e il riso calmo del cuore", ecco che siamo giunti al punto (quel famoso "mezzo del cammin " dantesco o la luziana "vicissitudine sospesa") in cui la meridiana potrà farsi bussola, misurazione dello spazio piuttosto che del tempo, ma in una costante (appena un po' diversa) ricerca d'approdo. Dal cuore della notte, della terra della barbarie ma anche dei miti (si veda l'allusione significativa, polivalente al "ramo d'oro"), quella che si cerca è una "nuova lingua" per dire "l'antico giardino dei nomi", per figurare "un nuovo mondo nel mondo": libri che "non parlino ai libri, ma alla vita" [...] comunione col "grande occhio che vede e non è visto".

Gli elementi allora potranno radicarsi in se stessi: prendere, piuttosto che lasciare, terra, acqua, aria, fuoco, ritrovarsi in principio, all'origine della propria totalità. Là dove il passato potrebbe non essere perduto, e non offrirsi in fuga di volti, di parole; mentre le cose, quasi impietosite dalla compassione evangelica dell'io poeta, danno forma all' "inconoscibile illusione" maturata nella pacatezza della solitudine. [...] nell'accettazione, quasi in favola romantica, dell'incontro con l' amico sconosciuto', con la "morte sorella", a ridestare, in un punto frutto dell'ars longa dell'attesa, l'unica vita possibile da scrivere sul cenotafio: mescolanza di terreno e celeste, di divino ed umano ("nella vita soltanto,/ nel suo gran soffio d'anima cerco mondo nel mondo,/ trovo radice e patria trasparente,/ e lavo le parole dal grembo della mente").

Dare spazio, voce, fine, nella danza che lega morte e nascita del mondo, mentre il poeta (non scordiamo che le parole 'sono' il suo corpo), "giunto al centro dei segni", si sveglia "a trasparenza", e "dentro, davanti, sopra, sotto, accanto", "coi frantumi di specchio confitti in ogni cuore/ plasm[a] intera la forma, liber[a] ciò che muore".


ANNA DOLFI





MAURA DEL SERRA, L'età che non dà ombra, Firenze, Le Lettere, 1997

Da sempre mi colpisce, nella poesia di Maura Del Serra, l'intensa capacità di lode, la gloria che oscuramente disegna una via di salvezza nell'intreccio dolente del mondo e della storia. Raramente ho trovato, come in questo percorso, radicalmente spirituale e creaturale, altrettanta fedeltà al moto ascendente della parola, alla verticalità di un canto religiosamente votato ad aprirsi, parafrasando Simone Weil, al "paese reale". Poesia sapienziale, come l'ha definita Bàrberi Squarotti, ma dove la profondità gnomica e orfica del discorso non va separata dal dono del sentimento, di una Stimmung interiore che si radica nella fede e nella Grazia. Non si comprenderebbe l'unicità e la grandezza del percorso poetico di Maura Del Serra se non si cogliesse in pieno l'equilibrio tra il libero fluire del canto e la rigorosa linearità del pensiero, la forza di una rivelazione sostenuta da un duplice impianto lirico e conoscitivo. L'età che non dà ombra è il libro che maggiormente realizza questo equilibrio, dove il respiro verticale della pronuncia poetica ridiscende nell'inferno della frammentarietà quotidiana e la tensione riflessiva si scioglie in accenti di lirica commozione. Più che altrove Maura Del Serra attraversa le dolorose stazioni dell'età nichilista, di questa epoca perduta "nel fondiglio del non senso", in "giorni di creature divise", di "arroganti rovine"; interroga "la barbarie ricorsa", la "guerra di dogmi senza fede", scommette sulla responsabilità della poesia, sulle sue istanze etiche, sulla vocazione a cercare "in nuova lingua/ verde l'antico giardino dei nomi". E non teme di esporsi, di attraversare il proprio vissuto, di mostrare il sangue dell'esperienza, come nella stupenda sezione Il muro, dove "nel buio imposto a salute degli occhi" si compie il miracolo di nuove voci, "gli armoniosi comizi degli uccelli / dentro i pini romani", e dove, nel "perso paesaggio" di una cecità che sembra quasi adombrare il buio abisso del mondo, non cessa tuttavia di nascere il "grande occhio che vede e non è visto, / nel cristallo profondo / dell'anima del mondo". Perché la poesia di Maura Del Serra è soprattutto un religioso canto di vita, la scommessa di una parola che dove più grave incombe la durezza del male con più urgenza nomina il mistero e la gioia del Nascente.


ROBERTO CARIFI

"Poesia", 107, giugno 1997




L'età che non dà ombra è il titolo dell'ultima raccolta poetica di Maura Del Serra, recentemente pubblicata dall'editrice Le Lettere di Firenze.

Un volume pervaso da una tensione che non è mai stata così acuta sul significante, tutto giocato, a livello filosofico-concettuale, sull'irrilevanza e l'unità del segno, tra suono e senso, tra esistenza e vita, come dice Anna Dolfi in uno scritto in margine ai testi, raccolti in dieci sezioni organiche a disegnare un percorso poetico e condotto con una varietà persuasiva e matura di accenti e di toni (giusta il titolo che allude alla stagione centrale della vita).

Altrettanto articolato ed insieme centrato intorno al mito di Kore/Persefone è un altro volume edito da Le Lettere di Firenze Kore, iniziazioni femminili: un'antologia di racconti di una quindicina di scrittrici e scrittori del Novecento (Proust, Woolf, Parker, Montale, Gadda, Manzini, Bachmann, ecc.) che Maura Del Serra ha raccolto, curato ed introdotto con un ampio saggio che dà conto dei momenti di passaggio, delle iniziazioni - talvolta violente - nell'animo delle protagoniste: iniziazioni all'età adulta, all'amore, alla conoscenza di sé, alla morte, ecc. che evidenziano - in un mosaico tipologico ricco ed illuminante - le complesse sfaccettature dell'animo femminile.

La Del Serra è stata recentemente invitata a rappresentare la poesia italiana al 13° Festival internazionale di poesia a Barcellona dove, nel "Palau della Musica Catalana" gremito da 1800 spettatori, ha letto le sue poesie insieme ad altri dodici poeti provenienti da diversi paesi del mondo (Persia, Bengala, Cuba, Polonia, Francia, Spagna ecc.).


[non firmato]

"La Nazione", 27 agosto 1997






"L'età che non dà ombra" di Maura Del Serra

Maura Del Serra non è solo una poetessa che ha al suo attivo diverse raccolte ma è anche una studiosa di poesia del Novecento, si è occupata di Campana, Rebora, Ungaretti, Caproni e Penna, e forse è proprio questa doppia natura che conferisce ai suoi versi uno spessore culturale non comune in cui le tracce e l'eco di tante letture si rifondono in una cifra originale e profondamente vissuta; una cifra lontanissima, direi, da ogni moda e da ogni tendenza e solo impegnata a confrontarsi con se stessa e con il patrimonio di tradizione da cui scaturisce. Nella sua ultima raccolta, che si intitola L'età che non dà ombra, queste caratteristiche risultano particolarmente evidenti e conferiscono al libro una solida coerenza strutturale e tematica [...].


STEFANO GIOVANARDI

Scaffale

RAI Tre - 31 agosto 1997





"L'età che non dà ombra" di Maura Del Serra

La settima raccolta poetica di Maura Del Serra si propone fin dal titolo come un'esplorazione della dimensione temporale, creaturale e finita della vita umana, e prima di tutto nel conoscersi e riconoscersi creatura attraverso l'esperienza privilegiata del dolore e della fragilità fisica. Che tutto ciò sia reso possibile da un'irripetibile condizione esistenziale, dal raggiungimento dell'"età che non dà ombra", momento centrale di equilibrio tra opposte tensioni (cfr. A metà della vita: "Nulla hai dimenticato e nulla sai, / a metà della vita, quando il sempre / taglia lo specchio lucido del mai / [...] / nulla hai dimenticato e nulla sai, / e ferma muti, e sei quello che fai"), ovvero mezzogiorno della vita in cui la meridiana (simbolo che forniva il titolo ad una precedente raccolta) colpita dalla luce del sole proietta la sua ombra più corta, è circostanza non secondaria. La biografia, propria e altrui, e la riflessione della memoria e sulla memoria costituiscono il motivo portante della raccolta; con una varietà di toni che vanno dall'asciutta drammaticità della seconda sezione, Il muro, dedicata al tema della malattia, alla secchezza sarcastica, tardomontaliana di certi passaggi delle poesie "civili" della prima sezione (cfr. i "terzimondi brulicanti e spersi / nella TV serale / tra le chiacchiere del telegiornale" di L'ordine, vv. 18-20), all'ardua, anche formalmente, scoperta della propria elementarità, della "simpatia" della propria sostanza umana con la sostanza cosmica ugualmente creata, nel trittico In principio era l'acqua, In principio era l'aria, In principio era il fuoco della sezione Elementi; dalla riflessione sulla propria identità storica, alla ricerca di una non accidentale corrispondenza di questa con la propria più segreta natura (cfr. Onomastica: "Maura l'oscura, Maura la bruciata / dal suo sole nascosto: [...] dal mio nome-destino rosso cupo"), alla sentenziosità di Umanista, che arieggia certe epigrafi di Spoon River, ma con in più un gusto retorico, una voluttà barocca di metafore e antitesi, alla serietà senza peso di poesie come I padri, o come L'amico sconosciuto, che pare proprio una mistica immaginazione travestita, ricantata in "favola romantica", come recita il sottotitolo. Qui, come quasi ovunque nella poesia della Del Serra, conta moltissimo la lezione di Emily Dickinson (dei suoi versi figurano, significativamente, in esergo a La gloria oscura del 1982), della Dickinson, ad esempio, di Because I could not stop for death; ma conta anche, evidentemente, l'Ungaretti dell'Inno alla morte e di La madre, quantomeno per l'iterata assertività dei futuri, che corrispondono a una promessa, anzi alla Promessa ("Mi poserà la mano / piumata sulla scarna spalla stanca / [...] / Avrà, nel gesto / ilare, la parola sempre attesa / [...] Mi dirà 'benvenuta', / e il mio cuore [...] riposerà"), e per l'atteso "bacio di riconoscimento / che disseta e non brucia" (come nell'Inno alla morte). Memorie, cadenze ungarettiane ricorrono del resto più volte nella raccolta, come negli inifiniti ottativi di Prendere terra ("Prendere terra, richiudere il volo, / dare all'aria radice, / posare le mie zampe intorpidite / contro le rughe soffici del suolo") e delle contigue Prendere acqua e Prendere aria, che richiamano inevitabilmente l'incipit di Agonia ("Morire come le allodole assetate").

Ma più delle ascendenze importa rilevare come circoli in questa raccolta una cantabilità in parte nuova alla maniera dell'autrice; una cantabilità, un arioso (uso di proposito questo aggettivo, che tecnicamente connota un tipo di recitativo, perché un tratto caratteristico di molte poesie è proprio l'alternarsi di endecasillabi e settenari, o anche martelliani, in una successione assolutamente libera di rime, con alcuni versi irrelati, il che coincide per l'appunto con la struttura metrica del recitativo classico), consapevolmente denunciati non solo dal frequente ricorrere di una nomenclatura musicale, e in particolare melodrammatica, specialmente nei titoli (Aria del disincanto, Stornello per Irene, Bocca di tutti - Arietta, e Due Lieder), in funzione di ironica virgolettatura di un'urgenza espressiva, di una pressione sentimentale che si radicano saldamente nella storia personale, quando non nella cronaca, dell'io parlante; ma soprattutto da certe cadenze musicali che vengono ad insinuarsi nelle più severe costruzioni di pensiero. Dove l'abbandono alla felicità sonora e immaginativa è più scevro di rimorsi, come nel finale di Prendere aria: "mentre l'anima oscilla / nel passato futuro - è quel cappotto sospeso / lassù a quel fazzoletto di terrazzo / a prender aria e dondola e si gonfia e s'arruffa / sul filo come un grande uccello pazzo", o come in tutta quella poesia intitolata, forse riduttivamente, Scherzo agostano, più che altrove (più che nel generoso tentativo di poesia civile della prima sezione, ad esempio) si possono a mio parere rintracciare gli esiti più persuasivi della raccolta.


ELENA PARRINI

"Semicerchio"

gennaio 1998, p. 71



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