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  • Maura del Serra

La gloria oscura





MAURA DEL SERRA, La gloria oscura, Firenze, Giuntina, 1983


La poesia di Maura Del Serra esprime, attraverso una rara densità linguistica e concentrazione concettuale, un'acuta tensione interiore cui si potrebbe dare il nome di metafisica, che si nutre del dato biografico, di un continuo scavo e di un'ininterrotta investigazione nutrita e mediata da significative aperture culturali.

È ben nota infatti la Del Serra per i suoi studi su poeti italiani del primo Novecento come Campana e Rebora, ma anche per la specifica indagine su Nietzsche, i Pitagorici e molti altri filosofi e poeti attraverso i quali si individuano orientamenti e congeniali preferenze.

Si nutre quindi la sua poesia in una dimensione europea che non trascura la nostra tradizione recente ma nemmeno quella lontana nel tempo, se raggiunge il drammatico misticismo di Jacopone da Todi, citato come titolo di intensissimi versi: "sarò cerchio perpetuo di lume / scritto nel punto oscuro: sentirò / pendere a quella maglia senza rete ogni volo / che ridiranno mio: qui sigillata / in riposo di spine Esmesuranza / generarmi vedete". E mentre il dettato formale apparentemente si distende in sequenze di pochi versi metricamente variabili, le sillogi in cui si divide l'opera mostrano un'architettura complessa, una logica costruttiva - tutta risolta nel segno - che si rivela parte integrante del messaggio poetico. La gloria oscura è titolo emblematico, forse non decifrabile senza mediazioni paoline e apocalittiche e comunque tale da suggerire subito la qualità mistico-riflessiva di questa poesia, confermata anche dalle citazioni in apertura da Emily Dickinson e da Angelo Silesio; la partizione interna in sillogi sembra suggerire una fuga ascensionale estremamente consapevole e acutamente sofferta: da Svincoli si giunge a Il vario fuoco, titolo che concentra in sé il rapporto uno-molteplice di Lo specchio e il fuoco, l'immagine di origine orfica usata dalla stessa Del Serra per definire il messaggio poetico reboriano. È punto di arrivo, quello del Fuoco, preparato dalla silloge intermedia Per il risveglio. Se questa linea ascensionale si scorge dai titoli, essa appare nei testi fittamente tramata (e confermata) da richiami danteschi: "sempre domanda il moto / sua ragione all'azzurra quiete / che da sempre la dissipa nel suo pietoso riso: / sempre quel riso al cuore si riconverte in sete" (p. 10) e in Miglior acqua: "finché la notte è vela del tuo vento / le certezze traghetta / la carne d'ogni forma pellegrina / e in ogni scoglio monda le sue vene: / gemma nativa all'alba / che il tuo sole contiene" (p. 25) addirittura in Come per acqua cupa cosa grave la citazione dantesca proposta come titolo continua direttamente nel testo dalle forti implicanze, potremmo dire, religiose: "sparire in Te, la fine di ogni canto / in novissimo canto, nell'immagine umana / la fine delle immagini svelando - / ma tace le sue porte e le sue prede / d'ogni stagione, il ghiaccio altoraggiante / e la parola, corpo / sottile del creato, / s'inginocchia versando / su quel ghiaccio le pieghe dell'istante".

Tale linea tuttavia non è così esplicita da impedire altre letture dell'opera, né diminuisce l'autonomia delle singole composizioni. Se esse infatti partecipano nel loro insieme di un'autentica dimensione contemplativa né mai sono seriamente connotate da indicazioni realistiche, siano queste spazio-temporali o psicologiche, sono tuttavia individuabili e differenziate dall'impossibilità tutta moderna della reductio ad unum, dal potersi riconoscere cioè in un preciso sistema di pensiero o in un credo oggettivabile. Dallo stupore all'angoscia, dal senso della disgregazione all'immersione nel tutto queste liriche scandiscono un tempo interiore che anela a un confronto con l'eterno; ma una più sottile esplorazione non tarda a riconoscere grovigli di dolore esistenziale e umbratili complessità sentimentali. Basti segnalare qui la realtà autobiografica della maternità che diventa interrogazione cosmica, mito dai molteplici significati, attraverso un'elaborazione formale difficile e sorvegliatissima: Irene. "Figlia sono di te / che immobile ritracci nel mio grembo la foce / di desiderio alle generazioni / e / mi fendi col tuo peso di germoglio / che colma braccia eternamente vuote / il sempre colmo tenera abbagliando / di te, sua voce. / - / L'infinito che termina / la sua quiete di gemma, se rischiara l'angoscia / del suo volo più alto in altra gemma / di carne neonata / la distanza doppiata / dalla fiamma che inabita lo specchio / e il mistero consola - tutto chiude / la concordia stellare del tuo fiato, / scesa fra le mie braccia in questa stanza" (p. 12). E ancora in Nel bosco, Irene: "L'universo ti punge i polsi freschi / spiccati dal mio collo con l'ortica o la menta / congiunte nello stelo a te levato... / Oasi e segrete d'Europa avranno / i tuoi scavi imperiosi, la tua passione attenta, / ai tuoi vent'anni il duemila piegato" (p. 56).

Notevolmente ricco e sollecitante è il rapporto fra la poesia della Del Serra e la moderna lirica italiana, in particolare con Rebora e Montale. Ma un'analisi accurata di questa personale rilettura e reinvenzione richiederebbe ben altro spazio e forse ulteriore decantazione. Infatti l'ampiezza dei riferimenti culturali e il possesso di sottili strumenti d'indagine critica possono a volte dare l'impressione di minore libertà fantastica o, se si preferisce, di eccesso di consapevolezza formale presenti nell'opera: e solo il tempo e la riflessione potranno conferire o togliere consistenza a questa ipotesi iniziale. In ogni caso si può prevedere senza difficoltà per la Del Serra un lungo e fecondo itinerario poetico.


RENATA LOLLO

1983 (inedito)





Tutto [...] è felicemente filtrato attraverso una attentissima cultura e una mente lucida, capace di controllatissime appassionate soluzioni linguistiche e tematiche. Una poesia raffinata e intensa [...] pur nel suo strenuo autocontrollo.


GINO GEROLA

"Toscana qui", maggio 1984

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